E se la felicità più duratura stesse nelle piccole cose?

Riflettevo su un post che ho scritto giorni fa. Secondo alcune ricerche risulta più veloce superare i grandi traumi rispetto a quelli più piccoli. Per le batoste più leggere non partono le difese naturali che si attivano automaticamente nel caso dei colpi grossi, e allora lasciarsi alle spalle la brutta cosa diventa più gravoso.

Ma tutto ciò vale anche al contrario?


Ovvero: è possibile che le piccole felicità durino di più e alla lunga siano addirittura più appaganti delle grandi felicità? Se davvero fosse vero, allora sarebbe forse il caso dedicarci più attenzione e approfondire il discorso.

Perché io non ho nemmeno ben presenti tutte le piccole cose che mi rendono felice.

Mi sforzo, faccio mente locale, guardo il cielo di Scandicci



e cerco di enumerare le cose belle.

Nulla.

Il vuoto.

Poi piano piano qualcosina.

Una serata tra amici, una bottiglia di vino bevuta in compagnia, l'affetto della mia famiglia (non tutta, non sempre, siamo toscani parenti serpenti, ma insomma, in generale...).

Di nuovo vuoto.

Certe piccole soddisfazioni, come un obiettivo raggiunto, un traguardo tagliato, un... beh. Cose astratte. Non riesco a buttare giù un elenco soddisfacente.

Anzi, questo misero, parziale elenco mi è costato un bel po' di fatica.

Perché, mi duole ammetterlo, io non ce l'ho proprio un'idea chiara di quali siano le piccole cose che mi rendono felice.

Una consapevolezza spiazzante che subito fa scattare un moto di auto commiserazione, della serie: io, poveraccia, non ho così tanti momenti felici perché più sfortunata della media...

Ma è vero?

Non credo.

Tuttavia il pensiero mi serve per crogiolarmi, solo per qualche istante. L'auto compatimento fa bene in piccole dosi, un minimo però ci vuole, la compassione per sé stessi è accettabile, anche se diventa quasi subito invalidante, quindi pochi secondi e passo soltre.

Adesso, partendo dal presupposto che tutte le esistenze sono più o meno sullo stesso piano dal punto di vista dell'emozione spicciola: da dove viene questa difficoltà ad enumerare le piccole gioie?

E la riposta che mi sono data è una, semplice, secca: scarsa attenzione a sé stessi.

Torno alla prima persona,  mi viene meglio, anche se il discorso rimane generale.

Io non sono abituata a fare tanta attenzione a quello che mi succede intorno e agli effetti che ha su di me. Di solito registro le esperienze come gradevoli o meno, ma dopo averle vissute e a livello quasi inconscio. L'hic et nunc è dominato da un "man" heideggeriano con un orizzonte di ineluttabilità che abbraccia anche le cose più banali, senza meterle in discussione.

Non faccio mai, per esempio, una riflessione sulla giornata appena passata o su quello che mi è piaciuto di più e di meno. E quando incontro qualcuno che invece lo fa, e lo comunica, rimango sorpresa, quasi incantata, perché è un atteggiamento per me alieno ma di cui percepisco l'importanza. Anzi, la portata rivoluzionaria.

Dedicare la giusta attenzione alle piccole singole gioie, identificarle, cercarle, viverle il più possibile,  è dunque un modo efficace per vivere meglio.

Uno dei tantio modi, per carità che non c'è nulla di assoluto, un modo però a cui possiamo accedere e di cui possiamo servirci. Per migliorare il nostro strare al mondo, pardon il nostro esser-ci (visto che ho scomodato uno dei grandi).

Ripenso ancora un po' alle gioie spicciole nella mia vita.

Poche, troppo poche. Urge aumentare lo spettro, che a questo giro l'obiettivo è abbordabile.

D'ora in poi cercherò di più di soddisfare le piccole gioie, farò lo sforzo di pensarci, di fare mente locale e di scegliere l'uovo oggi. Alla lunga vediamo come andrà.

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