Il potere del sì per dire no: come trattare con gli scrocconi


Una volta un'amica mi ha detto che per vivere meglio avrei dovuto diventare "inaffidabile".

«Con certa gente puoi fare solo una cosa: diventa inaffidabile.»

Disse proprio così. "Certa gente" erano gli scrocconi, gli sfruttatori, i braccini corti con cui a tutti noi capita di aver a che fare.


Stavo attraversando un momento difficile, avevo lasciato il lavoro e a quanto pareva si era sparsa la voce che avessi tempo (professionale) libero da dedicare gratis all'ampio spettro di parentame e conoscenze. In breve avevo finito per sentirmi sfruttata, tirata per la camicia da chiunque avesse a che fare con me. Mi venivano chiesti favori, anche grossi, a cui dicevo di sì per sentirmi utile, accettata, forse meno sola in quel momento di vulnerabilità. Alla lunga però finivo sempre con ritrovarmi intrappolata nei gineprai altrui.
Storia vecchia e assolutamente banale, ci siamo passati tutti almeno una volta nella vita. Io mi sentivo come un pezzo di coratella sanguinolenta in un lago di piranha, e avevo cominciato a dare segni di insofferenza. La mia amica era arrivata in soccorso con una vagonata di saggezza spicciola:

«Tu di' di sì, ma poi sparisci senza fare niente. Capito?»

Rimasi colpita. Non esisteva una cosa del genere nel mio universo di discorso.

Le risposi che non era possibile:

«Se dico sì è sì, sennò meglio dire no subito e chiaramente» avevo ribatutto, convintissima, dall'alto del mio piedistallo di onestà e trasparenza.

Onestà verso l'interlocutore. È giusto che sia chiaro immediatamente come la pensiamo, e se per gli altri sia possibile o meno contare su di noi.
Il mio discorso in teoria non faceva una grinza: corretto, etico e rispettoso nei confronti del prossimo. Ma sotto sotto sentivo che mi stava sfuggendo qualcosa.

«Vabbè, fa' come ti pare» aveva tagliato corto la mia amica.

Tuttavia il suo invito all'inaffidabilità mi è rimbombato in testa per anni. Una specie di elephant in the room che ogni tanto andavo ad accarezzare, però senza mai ammetterne l'esistenza.

«Scusa, quale elefante?»

Il no chiaro indispone. L'interlocutore scroccone tipo non apprezza la franchezza, e ti catalogherà come stronza all'istante. E questo può essere un bene, ma spesso è un male perché vivamo in ambienti entropici e a ogni azione corrisponde una reazione uguale... ecc.

Il sì che invece è no, ti metterà tutta in un'altra luce. Anzi, se giocato bene, sarà un goal a porta vuota. Prima di tutto il processo sarà più graduale, meno traumatico. Il no secco, infatti, dura un attimo e finisce lì, lasciando a bocca asciutta e accendendo la miccia del rancore.
Nel sì che invece è no, ci saranno alcuni stadi da attraversare, che diluiranno il trauma e accompagneranno l'interlocutore scroccone sul sentiero del rifiuto.
Ci sarà un momento di gratitudine per aver detto sì; un momento di attesa paziente; un momento di blando promemoria a cui seguirà, se te la saprai giocare bene, il momento del "lascia perdere, dai", perché avrai dato l'impressione di essere alle prese con una grana ben più grossa, altrimenti avresti dato il tuo aiuto (gratis) eccome.

E vissero tutti felici e contenti.

3 commenti:

  1. Continuo a pensare che la prima strada (si=si no=no) sia la migliore. La seconda proprio non mi piace come non mi piacciono le falsità.. quindi magari "vissero tutti felici e contenti" meno uno.

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  2. Non è per niente male, si tratta in fondo di una strategia di dilazione che lascia tempo alla riflessione in entrambi i sensi.
    Se poi mi va di dar seguito al mio sì, lo faccio senza ulteriori retropensieri.
    Il caso contrario, cioè il non dare seguito al sì, di solito è perché nel frattempo mi sono ricordata quante volte la persona che mi ha chiesto aiuto per qualcosa in passato ne aveva promesso a me tranne puntualmente defilarsi con le scuse più inverosimili.
    Pazienza, va bene anche così: nessuno alla fine deve nulla a nessuno.
    Però, se l'aiuto deve stare sulla bilancia del dare/avere (non sempre è così, esistono ancora persone perbene, per fortuna), ritengo di poter usufruire della stessa bilancia anch'io: basta avere senza dare.
    Sì...vedremo...ci sentiamo e ti confermo quando...se...ecc ecc ecc.
    Nulla di così moralmente disonorevole, tutto è paritario o non è.
    Poi sia chiaro che se decido che quel qualcuno invece sento che va aiutato, non peso e non misuro: aiuto perché sento che mi fa stare bene il farlo, e tanto basta.

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  3. naaaaa, come ho fatto a non pensarci prima

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