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Il declino della Susan


 
Scrivo questo post per ricordarmi l'episodio, voglio conservarne una traccia.

La notizia non è fine a se stessa, si aggiunge ad altre "red flag" che in questi giorni, di tanto in tanto, scorgo sulla rete. Tradisce una malcelata paura che le cose non tornino com'erano nelle zone con uffici e pause pranzo fuori, ma mostra anche il declino di un quotidiano –Il Corriere – che ho sempre considerato prestigioso 一Tommaso Labranca lo diceva già anni e anni fa; naturalmente aveva ragione.

Facciamo una panoramica per la me stessa del futuro che si troverà a leggere questa roba. Chissà perché so che un giorno mi servirà rileggere questo post.

Cara Gatta del futuro, come ben sai una delle tante conseguenze della "Grande Pandemia del 2020" è stata la diffusione del cosiddetto smart working, ovvero il telelavoro organizzato alla meno peggio in quattro e quattr'otto.
Come ben sai, anzi come ben sappiamo è stata una scelta forzata dalle circostanze, spesso organizzata alla bisogna, per tamponare l'emergenza che ci ha colti impreparati.
Lavorare da casa non è stata una scelta, ma molti (non tutti) ci hanno trovato dei lati positivi.



Le aziende hanno risparmiato su utenze e materiali, tanto per cominciare.

I lavoratori spesso ne hanno guadagnato in qualità della vita; niente pendolarismo quotidiano; niente convivenza forzata coi colleghi; niente pause pranzo spese a mangiare la m**** a caro prezzo nei locali. Se stai a casa spendi meno, ti fai da mangiare quello che ti pare e non devi andare nella calca dei locali a spendere un puttanaio di soldi. Ci siamo ritrovati con tempo libero in più, e a trascorrere le giornate nel nostro ambiente.

Molti hanno gradito la cosa. Io sono tra quelli "anche no".

La novità però ha spaventato un po' di gente, tipo Beppe Sala che si è trovato per le mani anche la crisi dei ristoratori delle pause pranzo.

E questo dibattito ha cominciato a prendere campo. Ovunque.

Al bar accanto al mio ufficio sono preoccupatissimi, li capisco, li conosco e mi stanno simpatici, anche se essendo gli unici nella zona in situazione normale si approfittano sempre per prezzi e qualità dell'offerta, fregandosene dei reclami. Adesso la situazione si è ribaltata e non passa caffè che non mi tocchi ascoltare le lamentele per il calo dei coperti giornalieri.

Il dibattito si intensifica dappertutto, Sala fa la sua gaffe passivo aggressiva, esortando il ritorno agli uffici e sottintendendo che lavorare da casa non sia un vero lavoro. Indignazione.

Poi esce sul Corriere un articolo con elaborazioni grafiche di rarissima bruttezza dove si mostrano gli effetti devastanti su una donna  – mettiamocela la questione di genere perché qui c'entra, dai – dopo 25 anni di smart working.

La donna si chiama Susan, un personaggio ovviamente obeso e ingobbito dallo stare al pc di casa perché evidentemente nelle aziende i computer non esistono. Susan è un disastro: i capelli radi, doppio mento, occhiaie da competizione, rughette e screpolature cutanee di rito. Vive in pigiama, con una maglietta troppo piccola che non le copre la pancia strabuzzante e le immancabili ciabatte ai piedi.

Un identikit fatto al computer per simulare cosa accade a questa donna – paradigma di tutte noi – dopo 25 anni di lavoro da remoto in cui evidentemente tutto è andato storto. Come se fino al covid non fossero mai esistiti lavoratori e categorie di lavoratori da casa.
Alla base di questa simulazione c'è uno studio che ha visto la partecipazione di un team di psicologi ed esperti di fitness, leggo sulla pagina del Corriere.

Sempre sul Corriere leggo che col covid-19 lo smart working è diventata prassi consolidata in mezzo mondo, nonché tema di dibattito, molti hanno cominciato a vedere i lati positivi dello stare a casa a lavorare. Però da via Solferino il messaggio malcelato è "occhio donne che poi diventate come la Susan".

Mi rendo conto che la diffusione di questo modo di vedere e concepire lavoro e ritmi lavorativi quotidiani abbia iniziato a spaventare un po' gente.

Mi dispiace anche perché il Corriere è un quotidiano che aveva il suo prestigio, la sua storia, e vederci pubblicate queste stronzate (senza asterischi, sfido l'ira di Google) mi dispiace tanto. E sono anche perplessa perché Gramellini la pensa come me.

Diario delle impressioni sulle prime uscite





L'altro ieri sono andata a trovare i miei genitori, la prima volta in due mesi. Questo è stato il mio secondo ritorno alla normalità, dopo una passeggiata in centro il giorno prima. Li ho trovati in forma e di buon umore. Ringrazio il cielo per questo. Ma anche l'avere una casa col giardino aiuta molto. E pure vicini di casa gradevoli con cui poter chiacchierare a distanza, rimanendo ognuno a casa sua, ha fatto tanto.

Asp.

...a distanza, rimanendo ognuno a casa sua...

Ho sentito il bisogno di specificarlo. Perché?

Giusto altro giorno scrivevo che se c'è una cosa che ho imparato in questi due mesi è che esiste tutta una categoria di persone che gode nel frustrare gli slanci altrui. Gente che sta male sempre, ma che in condizioni normali si mimetizza abbastanza bene. Invece la quarantena li ha attivati e la delazione del podista solitario li ha fatti splendere di una luce malata. 

Ecco.

Ora, io sono troppo vecchia per raccogliere la merda altrui* e infatti la lascio lì. Però mi rendo conto con fastidio che non mi era mai capitato di misurare le parole come in questo periodo. Non con tutti, ci mancherebbe, solo con alcuni insospettabili fino al lockdown. 

Se sono contenta cerco di non manifestarlo a queste persone che si inacidiscono all'istante e iniziano i commenti passivo-aggressivi solo perché mi godo il momento e ho voglia di compagnia. Ed è tutta gente che non ha fatto nemmeno un giorno di quarantena da sola in casa. Oppure che per vari cazzi ha avuto la possibilità di uscire anche se intasava le bacheche di #iorestoacasa. 

Un esempio tra tanti: ho ricevuto suggerimenti non richiesti su percorso e orario migliore per arrivare al supermercato "senza diffondere la malattia" (cit.). Per la cronaca: io ho fatto il test sierologico e sono risultata negativa, chi mi ha dato questo consiglio non ci pensa nemmeno a fare altrettanto. Lo stress unito all'incapacità di amministrarsi rende la vita difficile, mentre è molto più facile stare a sindacare su ciò che fanno gli altri

Adesso mi sento circondata. Ma forse esagero, sono poco propensa a sopportare. E vorrei anche vedere: dopo due mesi chiusa in casa da sola, diventare suscettibile mi pare il minimo sindacale. La legge italiana in tutte le sue emanazioni e il mio buon senso, sono le uniche due linee guida che seguo ora e che seguirò nei giorni a venire. Adesso abbiamo informazioni e acquisito comportamenti che all'inizio non conoscevamo, questo mi tranquillizza. 

Forse ha ragione il buon Zuliani quando dice che c'è tutta una categoria di persone che il lockdown è proprio cosa loro.


(*parafrasi di una cosa detta da Iggy Pop millemila anni fa che mi è rimasta impressa e oggi casca a fagiolo.)




Tentativo di truffa porta a porta: Bartolini & co. per conto di Eni

Suonano il campanello in due, un ragazzo e una ragazza.

Lui è alto, lei ha i capelli scuri, lunghi e lisci.

- Chi è? - Chiedo affacciandomi alla finestra.
- Prego, venga ad aprire, siamo qui per l'adeguamento del contratto - dice la tipa perentoria, come se avesse poco tempo da perdere e fosse lì per farmi un piacere.

Sono le 14:30 e mi trovo da sola in casa dei miei genitori in zona Firenze Sud.

Non so di cosa si tratti, né chi siano questi due. Ma non sono a casa mia, dunque vado ad aprire la porta per capire meglio.

La tizia si presenta, solo il nome naturalmente, mi dà la mano. La ignoro mentre leggo la targhetta stampata ad aghi: Bartolini & Co., in un angolo il simbolo dell'Eni.
Lei si ripresenta, sempre e solo il nome.

- Bartolini? - chiedo fissando quella targhetta di riconoscimento che mi puzza di finto lontano un chilometro.
- Bartolini è l'agenzia, siamo Eni - risponde lei risoluta, un po' scocciata.

Guardo ancora la targhetta stampata in casa: Bartolini & Co., mi ricorda qualcosa. Boh.

- Bartolini, l'agenzia di viale Giannotti - aggiunge lei, irritata che non la conosca.

Viale Giannotti è qui vicino, forse conosco davvero quell'agenzia.

Ma no, ci stavo per cascare come una bischera.

- Siamo qui per l'aumento del suo contratto. Il 5% dal primo gennaio. Le è arrivata la comunicazione per lettera, vero? - dice lei.

- Guardi, non mi interessa. - dico.

- Che cosa non le interessa? - incalza lei sempre più scocciata.

- Quello che ha da propormi. - rispondo pronta e attenta a non usare il verbo "vendere" sennò comincia la solfa su fatto che non ti vogliono vendere niente, ecc. ecc.

- Io non le propongo niente, sono qui per il suo contratto, le è arrivata la comunicazione in bolletta da Eni, per l'aumento del 5% - dice lei decisa, tirando fuori un tablet.

- Ho detto che non mi interessa - ripeto.

- Se non lo facciamo adesso poi dovrà venire in viale Giannotti - dice lei, quasi stizzita.

- Ho detto che non mi interessa, buongiorno. - E chiudo la porta in faccia ai due.

Cerco su Google: naturalmente di Bartolini & Co. concessionari Eni in viale Giannotti a Firenze non c'è traccia.

Mi preoccupo un bel po' perché non so quanto anziani come i miei genitori riescano a respingere questi truffatori, che sono sempre più aggressivi e facce di culo.

Ryanair delle 23 e venti, dall'aeroporto di Pisa alla stazione di Firenze: hic sunt leones




Atterrare all'aeroporto di Pisa alle 23:20 in una domenica di agosto significa ritrovarsi in uno scalo deserto da far paura. Di solito il Galilei è brutto, ma così è proprio desolante. Par d'essere capitati nel corso di una post-apocalisse.

In realtà è molto peggio, almeno dopo un'apocalisse ti puoi arrangiare come credi.

Le due me stessa


Ci sono due me stessa nel mondo.

C'è la me stessa del mattino e c'è la me stessa della sera.

Ci sono sempre state: una è più energetica e impulsiva, l'altra più stanca e riflessiva.

Alla Posta (Episodio 2)

Stamani mi trovavo in un ufficio postale pieno di gente. Età media 70 anni abbondanti. A un certo punto un'impiegata esce fuori dalla stanza per salutare un amico che si trovava nella fila. Iniziano a chiacchierare a voce alta del più e il meno. Poi il discorso vira sulle mega pensioni di certi ex politici e amministratori vari che, insomma, andrebbero abolite, anche solo per dare l'esempio, vista la crisi, i sacrifici immani a cui vegono sottoposti gli italiani tutti i giorni, ecc.

Suv come buzzword raccatta simpatia (politica)




C'è questo imprenditore, Andrea Zucchi, anche se credo sia più un bottegaio/imprenditore; ma sono sono differenze trascurabili al giorno d'oggi, nel tempo del: “non si dice aprire ditta, si dice creare una start up”, che segue a ruota il tempo del: "non si dice aprire partita IVA ma diventare imprenditore di sé stesso”, perciò non sottilizziamo. Dunque, questo imprenditore mi piace perché in primo luogo è sornione, si vede dallo sguardo, caratteristica che apprezzo sempre molto. Il siparietto è preparato, ok, ma l'antipatico presentatore che tira in ballo la parola suv*, ripresa prontamente dal sottosegretario Polillo per attirarsi delle facili simpatie, mi ha dato fastidio. I suv, le macchinone antiecologiche e care asserpentate che spesso possono essere immatricolate come furgoni e che evocano nell'immaginario collettivo un bouquet di: ignoranza, ostentazione, buzzurrità, antipatia, lusso cafone, tracotanza, evasione fiscale, ingombro, parassitismo... Basta pronunciare questa parola contro qualcuno ed è fatta.
"Cose da suv", dice il sottosegretario ridacchiando tra i denti, mentre esamina il mazzo di chiavi che lo Zucchi gli ha mollato lì in segno di protesta. Mi ha ricordato un personaggio della Caterina Guzzanti: Vichi di Casa Pound, la fascistella in confusione mentale, quando esclama: "e le Foibe?".
Il tempo dei tarallucci e vino è finito. Le risatine e le battutine non sono più accettabili.


(*) con tutta l'antipatia che io possa avere per il mezzo in questione e per il suo proprietario-tipo. Ne approfitto per fare un [momento automarchetta]: il mio prossimo ebook parlerà di imprenditori delinquenti, solo debiti e suv [fine momento marchetta].

Accidenti a #Facebook

L'incontro sgradito è un classico. Tutti l'abbiamo provato e lo proviamo, in continuazione.
La reazione spontanea è far finta di non vedere il tizio, ma lui ti chiama, si sbraccia, attraversa la strada a passo svelto e ti bacia tutto felice di averti ritrovata.
Ti interroga meticolosamente su tutti i conoscenti che avete in comune, per la maggior parte si tratta di gente di cui non sai più nulla da vent'anni. È interessato a qualsiasi notizia: chi tromba con chi, chi lavora dove, chi ha figliato e con chi, ecc. Ti dice che ti trova bene. Non è vero, ma cerchi di essere cortese, l'interrogatorio incalzante ti costringe a una concisione e capacità di sintesi mai sperimentate.
Comincia a venirti freddo ai piedi, voglia di fare la pipì e di andare il più lontano possibile da questo spettro del passato, portatore sano di depressione. Ma lui non molla: ti propone un caffè in un locale che conosce lui. Ringrazi, dici che ti rincresce ma non hai tempo di... Allora lui ti propone il bar lì vicino.
Rispondi ancora che hai da fare, ma lui insiste. E va bene allora solo un caffè. In memoria dei vecchi tempi, aggiunge lui con una battuta di spirito che fa ridere solo lui.
Davanti al bancone ti confessa che ha avuto "una cotta" per te per diversi anni. Non te ne frega nulla di acquisire questa informazione e vuoi solo che questa parentesi amarcord a senso unico si concluda al più presto.
Lui si apre subito e sprizza cliché da tutti i pori. Succo del discorso: il suo matrimonio è alla frutta, gli urge crearsi un nuovo giro di figa. Provarci con qualcuna che non si frequenta da vent'anni ha il suo porco fascino. Novità e vecchi tempi in un tutt'uno: malsano e morboso.
Sfanculare subito, tagliare corto. No, non voglio sapere che vita fai, nessuno ti ha ordinato di sposarti la fidanzatina del liceo, ora non ti lamentare. Non m'interessa.
Fingi un impegno, fai per pagare ma lui ti blocca. Con un gesto solenne, offre lui ci mancherebbe. Tira fuori un portamonete del nonno e ci mette minuti a contare gli spiccioli da dare alla cassiera. Ha una quantità incredibile di monete da uno e due centesimi da smaltire. Chiede alla cassiera di ricontarli perché pensa di averle dato di più. Mi allontano per non vedere la scena.
Appena ha lo scontrino in mano ribadisco l'impegno improvviso, saluto velocemente con convenevoli di circostanza: "alla prossima, è stato un piacere, non facciamo passare altri venti anni.". Lui cerca di trattenermi ma io sono decisa; mi viene la depressione solo a sentire quel tono di voce lagnoso che mi domanda a raffica di gente di cui non so più nulla da decenni.
Esco in strada e cammino veloce, mi allontano sollevata. Svolto a un angolo, poi ancora a quello successivo. Sola finalmente, maremma che appiccicume disperato.
Il cellulare vibra in tasca. Facebook mi avverte che ho una richiesta di amicizia. Accidenti a Facebook.

No logo

Perché poi una diventa acida. Ci credo. Perché una va a cena da un'amica che non vede da tanto. il marito è a calcetto. Si mangia, si parla, si mette a letto la creatura meravigliosa e stranamente tranquilla che non ha rotto le scatole quasi per nulla. Poi caffè sul divano e arriva "slang" aka il consorte. Slang è venuto fuori da un po' - e non da me, maligni lurker del cavolo che poi mi scrivete in privato perché avete riconosciuto il soggetto- dopo aver letto i suoi status di facebook sgrammaticati cercando di scrivere in vernacolo, arte che solo l'intramontabile Vernacoliere riesce a compiere senza scadere nel patetico. Ora: Slang mi saluta appena, va di là e ritorna subito dopo con un portatile acceso che mi butta in grembo. Non faccio in tempo a chiedere che succede che lui mi dice che gli DEVO fare un favore. Perché ha il suo logo (il suo logo?) che - deve mandarlo a quello che gli stampa i biglietti da visita - non è vettoriale e gli hanno detto che così gli viene fuori uno schifo. Non è un logo. Faccio la finta tonta e gli dico di chiedere al grafico che gliel'ha disegnato perché di norma un logo si fa in vettoriale. Punto nell'orgoglio mi dice che l'ha fatto da solo! Guardo il disegno e sembra uno scaracchio catarroso sull'asfalto. Cerco di tagliar corto e continuare la conversazione con la mia amica che distoglie lo sguardo. Anche lei sapeva: collaborazionista! Gli dico di mandarmi il file. Lui mi interrompe, mi dice che me lo manda subito se glielo posso fare domani mattina presto, ché ha fretta lo deve mandare in stampa subitissimo...  Gli dico di mandarmi il file che poi gli faccio il preventivo per il lavoro. Ci vorrà una settimana dico a occhio e croce, senza stare ad ascoltare le sue urgenze. Mi guarda malissimo, piagnucola, cazzo questo piagnucola perché non può avere tutto subito e gratis. Devi morire, penso. Sorrido dico che si è fatto tardi e torno a casa.

Alla Posta

Precisa
Inizio post con intro acida e note moraleggianti: con tutte le tragedie che accadono in ambito lavorativo di questi tempi, chiusure di fabbriche, recessione, crisi economica, dissoluzione delle prospettive, ecc., si fa davvero fatica a rendersi conto di certe dinamiche degli uffici pubblici (o ex tali) che non hanno proprio più senso e sono anche offensive per il "resto della società". Ecco. Sono andata alla posta per farmi la carta Paypal. Siccome ero in centro per cavoli miei sono andata alle poste di via Pellicceria, quelle sotto le logge. Ho preso il mio numero e mi sono messa in attesa, nella sala grande.
Al mio turno sono andata dall'impiegata allo sportello, una tizia sulla sessantina, un tipo alla Rosy Bindi e con tanta voglia di lavorare addosso.
- Buongiorno, vorrei fare la carta Poste Pay, per favore.
- Riempia questo - ha risposto brusca, dandomi il modulo per la ricarica.
- Guardi mi sa che non è il modulo giusto.
- Lei lo riempia, va bene questo. - Mi ha risposto irritata.
Allora ho scritto il nome e cognome e lasciato perdere tutto il resto perché non avevo le informazioni visto che ero lì per attivarla la cavolo di carta. Poi l'ho dato alla tipa che mi ha chiesto:
- Quanto vuole ricaricare?
- Non voglio ricaricare. Voglio fare la carta Postepay.
- Allora questo modulo non va bene. - mi ha risposto guardandomi storta.
- Guardi che me l'ha dato lei il modulo. - ho ribattuto con voce incolore, abituata a ben altro in tema di fancazzismo.
- No, guardi, non è questo... lo butti pure via... è difficile... - ha farfugliato la tipa che sembrava incazzata con me per la mia richiesta estemporanea.
- Scusi, qual è il problema? Voglio fare la carta Postepay - ho ripetuto trattenendo a stento le risate mentre appallottolavo il modulo della ricarica e lo gettavo nel cestino a fianco.
- No. Nessun problema , ma è molto complicato, ora vado dalla collega - e la tipa si è alzata per andare a parlottare con la collega nella postazione accanto, una tizia sulla cinquantina abbondante, ma più giovanile, con un look da Morticia reduce da due settimane a pensione completa e ballo liscio in Riviera Romagnola, non so se rendo l'idea. Al che Morticia ha storto la bocca, mi ha guardata di traverso e infine mi ha chiesto acida:
- Vuole fare la carta Poste Pay?
- Sì, come ho già detto alla sua collega voglio fare la carta Postepay. - Ho risposto attonita, cercando le telecamere nascoste, perché quella situazione poteva benissimo essere una candid camera qualsiasi.
- Mmmmm... C'è da prendere i moduli. - Ha detto Morticia a Rosy, che è scomparsa all'istante in una porticina lì dietro. Ogni tanto tornava con qualche foglio e lo faceva vedere a Morticia.
- È un'operazione difficile? - Ho chiesto con ironia dopo un po' di quella storia.
- Difficile no, ma molto lunga... e per noi! Lei non si preoccupi, stia lì. - Mi ha risposto Morticia serissima mentre Rosy dopo averle frullato intorno per un po' mi porgeva dei moduli da riempire dicendomi:
- Sono moduli lunghissimi, li DEVE riempire tutti.
Ho riempito il modulo in due minuti scarsi, non essendo minorenne una buona parte dei campi erano da saltare e l'ho dato a Rosy con i miei documenti. Rosy è andata in un posto lontanissimo a fare la fotocopia dei miei documenti e quando, parecchi minuti dopo, è tornata mi ha detto di spostarmi da Morticia a finire la pratica con lei che era cosa lunga. A quel punto ho chiesto una info sulla privacy e Rosy, visibilmente scocciata per quella domanda a cui non sapeva rispondere, è sparita di nuovo per qualche minuto a probabilmente a consultare l'Oracolo delle Poste a cui è devotissima, altrimenti non si spiegano tutte quelle interruzioni.
Nel frattempo mi sono spostata da Morticia che mi ha avvertita scocciatissima:
- questa è un'operazione lunga.
- Va bene, ho capito, aspetto. - ho risposto.
Allora lei si è messa a ricopiare i miei dati sul teminale, cliccando lentamente con due dita perché aveva le unghie troppo lunghe per poter digitare agevolmente sulla tastiera. A un certo punto si è fermata perché Rosy, dio solo sa per quale ragione, si era portata via un foglio con i miei dati. Abbiamo aspettato Rosy che tornasse dal nulla a consegnare il foglio, poi Morticia mi ha ordinato: - Mi dia il modulo con la ricarica che ha compilato prima.
E io: - l'ho buttato via.
E lei molto irritata: - Perché?
E io: - Perché mi ha detto di farlo la sua collega.
A quel punto mi stavo irritando pur'io, stavo richiedendo un servizio a pagamento, porca miseria, mica un favore personale a quelle due. Allora ho preso un altro modulo e l'ho riempito per una ricarica di €5. Ho dato €10 a Morticia: la ricarica più altri €5 per il costo di attivazione della carta.
Morticia ha digitato per un po' nel terminale, con Rosy alle spalle che controllava tutto quello che faceva e ogni tanto le dava dei suggerimenti (questi computer son sempre delle gran rotture, signoramia... si stava meglio quando si stava...).
Alla fine sono uscita da lì con la mia carta Postepay, ma con una voglia insaziabile di vedere scorrere il sangue a fiumi. Io mica ce li ho di solito gli istinti omicidi...

Noi uncool


Punto della situazione di un estate da sfigata.

Noi uncool, per gli amici sfigati cronici, in estate siamo preda di depressioni piuttosto devastanti. Tutti, infatti, hanno delle cose fighissime da fare e una vita sociale incredibile, posti meravigliosi per trascorrerci i fine settimana ed eventi glam in città a sfare. Ho calcolato che in estate il settanta, anche ottanta per cento delle persone che conosco diventa irreperibile e più fumoso del solito al momento di fissare anche un'uscita banale, tipo un cinemino. Ma tant'è, non voglio entrare nell'intimità di questa massa di fortunati con la socialità pregna che mi gravitano intorno facendo sempre cose fantastiche. Potrei sembrare invidiosa. Io la mia estate me la trascorrerò quasi tutta a casa, ho un po' di lavoro adesso e dopo mesi di calma piatta è ossigeno miracoloso, perciò non mi posso muovere finché non finisco l'incarico. E quando finirò sarà già ora di ricominciare. Il che va bene, figuriamoci, meglio così che non aver lavoro. Tuttavia è anche molto deprimente perché non c'è nessuno in giro e un cinema, un aperitivo, una birra in compagnia sono già diventati un problema, come di solito accade nelle due settimane centrali di agosto, in cui regolarmente inizio a parlare da sola di fronte agli specchi di casa. Quindi ho deciso di organizzarmi delle attività da fare a casa, per trascorrere la sera del "quality time" in compagnia me stessa. Accetto suggerimenti, naturalmente; ci sarà pur qualche sfigata o sfigato come me che passi da queste parti... Prima di tutto, come faccio ogni estate da tre anni a questa parte, ho da leggere altri tre o quattro libri del ciclo di Dumarest, la saga di fantascienza di EC Tubb in 33 romanzi, tutta piena di viaggi nello spazio, pianeti di ogni genere con un protagonista davvero figo. Poi sto scrivendo un altro ebook che pubblicherò con le mie edizioni Il Piccione appena sarà pronto, a questo punto a settembre, forse più in là, vediamo.  Non ne anticipo il tema, faccio la misteriosa. Poi...  tempo per il post scaduto in questa pausa pranzo pomeridiana e caldissima. [continua...?]

Momenti poetici sotto la pioggia

L'angolo della poesia mi regala sorrisi inaspettati mentre percorro, solitaria, il marciapiede. Fotografo passando, distratta da una voce amica.
Ed è subito caffè.

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...