Fenomenologia dell'odio per l'apericena nelle cronache di vita vissuta


Da quella sera non ci siamo più visti... ma come mai? Che fine avete fatto, ragazzi? Non siete mai liberi... allora ditevelo che ve la tirate! Eh eh eh. Dai allora la prossima settimana si fa l'apericena.


Brividi.
Ma almeno questa volta l'intenzione è manifesta.
Ho tutto il tempo di farmi venire la bronchite.
O il classico dei classici per smarcarsi dalle situazioni sgradevoli: il disturbo intestinale.
L'altra volta mi, anzi ci avevano colti alla sprovvista.
Avevamo subìto senza avere i riflessi per reagire.
Una serata senza senso.
E tuttora continuo a pensare che nulla fosse casuale, che sotto sotto ci fosse un piano ben ordito.
Perché il meccanismo è sempre lo stesso e tutti noi l'abbiamo subìto almeno una volta nella vita.

Rewind.

Ci pensi tutto il giorno: serata tra amici. Una bella pizza per cena, accompagnata da una birra fresca. Conversazione rilassata, tutto il tempo per aggiornarci sulle nostre rispettive esistenze.
Arrivi all'appuntamento con un languorino quasi piacevole, sai che lo soddisferai e breve.
Gli elementi modaioli del gruppo - d'ora innanzi li chiamerò "Fattore μ" - ti informano con finta nonchalance che il piano per la serata è cambiato. Perché ogni tanto è bello fare qualcosa di diverso, sennò ci si abbrutisce. Critica nemmeno tanto velata alle abitudini sociali di un gruppo che esiste da vent'anni.
Nessuno ha il coraggio di ribellarsi.
Ci sentiamo colpevoli di star bene così e di non avere il desiderio di variare le nostre abitudini sociali.
Tuttavia sotto sotto sappiano però che "star bene così" non va affatto bene. Bisogna cambiare di tanto in tanto, perché altrimenti lentamente muore... ecc.
Allora che si fa?
Si va all'apericena in quel posto che va tanto di moda adesso, ovvio.
Dici ok, perché non ti va di far la rompiscatole, ma hai la morte dentro.
Mezz'ora per trovare un parcheggio, poi davanti al locale una ressa che inizia già dal marciapiede.
Per entrare ci vogliono venti minuti.
Ogni trenta secondi Fattore μ incontra qualche conoscenza che gli provoca una gioia incontenibile.
- Ciaaaaaooooo
- Cheee ci faaaai quiiii?
La fila per il buffet è interminabile. Con pazienza ti incolonni, ti sembra di stare alla mensa aziendale o all'autogrill sulla Firenze-Mare a Ferragosto.
Con innumerevoli difficoltà ce la fai a raggiungere un tavolo pieno di avanzi del pranzo riscaldati e sproporzionati più finemente possibile, per dare la sensazione di quantità e abbondanza gratis.
Prendi un piattino minuscolo e una forchettina e cominci a scegliere cosa prendere.

Il menù.

Una cucchiaiata di pasta tiepida e scotta, condita con una salsa indefinita; un paio di crostini rinsecchiti; un'idea di insalata di farro con un condimento in scatola; qualche fetta di affettato stantio coi bordi giallini; due sottolio asfittici. 
Torni a un posto trovato faticosamente e ordini un americano fatto male a un cameriere più morto che vivo,  mentre vi stringete per stare in nove in un tavolo da sei.
La musica (di merda, ça va sans dire) è a tutto volume, le luci sono lisergiche.
La conversazione è forzata perché l'ambiente è effettivamente ostile, inibisce qualsiasi socializzazione.
Sgranocchi il misero contenuto del tuo piatto, sorseggiando l'americano (ho già detto fatto malissimo?), il tutto per il modico costo di 7 Euro.
Ottimo, è uno tra i prezzi migliori in città per tutto quel ben di dio, ti fanno notare.
Allora benissimo!
Ti precipiti di nuovo a fare la fila perché hai una fame nera e nel frattempo, dalla cucina, hanno messo sul buffet una casseruola di pollo in umido avanzato di tre giorni fa e tutti si stanno avventando per prenderne un pezzetto.
Quando arriva il tuo turno il pollo è già finito. Rimestoli nella casseruola e raccogli un po' di pomodoro della cottura e una, di numero, fetta di carota unta e bisunta.
Ritorni al tuo posto e tutti ordinano il secondo giro. Partecipi tuo malgrado. Altri 7 Euro per il drink annacquato. Questa volta scegli un Vodka Martini. Arriva nel bicchiere classico, ma riempito per tre quarti: nemmeno la fatica di allungarlo con l'acqua.
Lo scoli con due sorsi, è sufficiente appena ad aiutarti a buttar giù il boccone di pomodoro e carota grondanti di olio di cottura.


Fattore μ dice che sta mangiando troppo, mentre si mette in bocca una patatina umida, rugosa, vecchia di giorni.
Tutti tirano fuori i cellulari, un'altra mezz'ora ed usciamo dal locale con la fame decuplicata.
Tutti sono stanchi, ti sganci dalla compagnia maldestra che sta per l'appunto dicendo di aver mangiato troppo, e ti dirigi verso casa dove ti attende un ottimo pacchetto di cracker integrali, una camomilla e finalmente un po' di silenzio.

2 commenti:

  1. meraviglioso post e comunque si capisce dal nome che è una fregatura.

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    1. Grazie Susi, vorrei vedere in faccia chi ha inventato questo nome... un genio del malvagio marketing...

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