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Della poca differenza



Molto del disappunto di questi giorni nasce dal rafforzarsi della consapevolezza che il nuovo mondo, della cui idea tutti ci siamo invaghiti, sarà ben poco differente dal vecchio. 
Certo, negli ultimi due mesi ci sono tante cose che sono cambiate, però - stringi stringi - nulla di veramente significativo. Superficialità, quisquilie, rotture di scatole, impoverimento. Cassa integrazione.

Mi viene in mente un dettaglio divertente.

Anzi, mi fa proprio ridere.

Parlo con amici che sono sempre stati un po' col piedino tendente a destra, con la manina pronta a scattare producendosi in rigidità grottesche, e adesso li scopro incazzatissimi per quanto le forze dell'ordine siano repressive, perché quella volta si stavano facendo i cavoli loro, gli hanno chiesto dove andate, hanno voluto i documenti, li hanno redarguiti con fare paternalistico per concludere con: questa volta non vi facciamo la multa e cose del genere, quando invece l'ordinanza non era chiara e dovrebbero essere più rispettosi dei cittadini. Cittadini-che-pagano-le-tasse.

Nel 2020 scoprire da insospettabili criptofascistelli – cartina di tornasole per individuarli: malcelata soddisfazione per i massacri di Genova 2001 + inossidabile tendenza all'autocommiserazione tout court – che le forze dell'ordine hanno bisogno di regole altrimenti tendono a diventare tracotanti è interessante, perché vuol dire aver vissuto poco o aver vissuto forse in qualche nicchia ovattata fatta di privilegi micragnosi e troppa televisione.
Accoppiata che ottunde e dà una percezione distorta di sé e del mondo in cui si vive.
Percezione che è pronta a volatilizzarsi in un puf! con un brusco tonfo nella "realtà vera" in caso, per esempio, di panedemia.
Ma anche in caso di molto meno.

Comunque che certe cose diventino un problema solo quando capitano in prima persona è un'altra "cartina tornasole dell'imbecillità" (cit. Tommaso Labranca❤️).

Volersi bene, sfanculando


Ho staccato il telefono per farmi i cavoli miei. Tutta la mattina. L'ho riacceso solo poco fa e dopo essermi concessa: una passeggiata in centro con pausa caffè, seguita da una lunga nuotata a ritmo rilassato, come piace a me. Bilancio della mia latitanza. Cinque telefonate. Quattro messaggi in segreteria. Tre emergenze super-iper-prioritarie. Due di queste "autorisolte" visto che non ero a tiro. L'altra non so, diciamo che me ne interesserò a tempo e comodo. Ho bisogno di ferie. Nonostante tutto.

L'imprenditore farlocco: figure professionali della contemporaneità


Giorgio Mendella inquartato dall'età. Quando penso al prototipo di imprenditore delinquente mi viene in mente  per primo sempre il suo nome. Mi ricordo ancora le sue televendite appassionate delle multiproprietà sul mar Nero e i racconti sensazionali delle convention all'americana che faceva a Viareggio. Ah, i mitici Anni Ottanta... 
Disclaimer a quanto pare necessario. Questo post non parla di Giorgio Mendella, ma di un altro imprenditore fiorentino che ho conosciuto personalmente e con cui ho collaborato l'anno scorso. La foto l'ho scelta solo per motivi nostalgici e - ripeto - non fa riferimento al contenuto del post che infatti racconta altre cose (basta leggerlo). 

L'imprenditore farlocco è una razza in espansione, mi dicono i più informati. E in effetti io mi ci imbatto sempre. Non capisco il perché io c'abbia 'sto karma fastidioso. L'imprenditore farlocco lo riconosci perché non ha un'azienda "fisica", né un indirizzo chiaro, ma si appoggia all'ufficio di un suo vecchio amico di infanzia che ha intortato non si sa come, e quello c'è cascato come una pera cotta. «Mal voluto unnè mai troppo,» dicevano gli anziani in campagna. E infatti. L'imprenditore farlocco si installa nell'ufficio dell'imprenditore bischero, senza una riga di contratto perché siamo tutti amici e faremo grandi cose, invadendo a poco a poco tutto lo spazio e stravolgendone l'impostazione. L'imprenditore farlocco c'ha le manie di grandezza, comincia ad acquistare di tutto, senza porsi il problema del pagare. Si permette pure una scultura post-contemporanea orrenda, presa sicuramente su Telemarket: un grumo di cemento avvolto da un neon tristissimo che si accende e fa una luce funerea. Chiama un elettricista per fare l'installazione dell'opera e fissarla tramite dei perni nel muro in modo che non caschi all'improvviso, uccidendo qualcuno dei lavoratori al nero che ha "assunto" tra mille promesse e un milione di cazzate. L'imprenditore farlocco non paga nulla, l'elettricista torna in ufficio più volte, sempre più minaccioso, prendendosela con l'imprenditore bischero perché il lavoro non gli è stato pagato. L'imprenditore farlocco si eclissa per giornate intere, dicono abbia il problema del bere o della cocaina. Tutti sperano che qualche spacciatore gli faccia un culo così ma questo per adesso non è successo. Ma continuiamo a sperare. L'imprenditore farlocco cavalca il trend del momento: delocalizza in Tunisia assumendo laggiù personale incompetente e mandandoci personale dall'Italia ancor più incompetente - anzi, proprio ai limiti della demenza - e così va tutto allo scatafascio sul nascere. Arrivano le denunce, ovvio. Perdo di vista l'imprenditore farlocco all'improvviso, appena mi rendo conto che l'ultima fattura non mi è stata pagata e non voglio aumentare i crediti nei suoi confronti, ché l'avvocato costa e sono pratiche infinite, ecc. ecc.
Un giorno camminando per il centro incontro l'imprenditore bischero. Mi conosce appena ma si sfoga subito, raccontandomi che non ha mai ricevuto un euro di affitto né di rimborso spese dall'imprenditore farlocco che naturalmente continua a farsi i cazzi suoi e si crede davvero il gemello spirituale di Steve Jobs, anche se tutta la sua attività consiste in uno shop online, creato su piattaforma opensource, dove tenta di vendere scarti di magazzino a prezzi scandalosi. L'imprenditore bischero mi racconta che hanno avuto gli ispettori del lavoro a fare un controllo all'acqua di rose e che arrivano continuamente in ditta creditori e gente fregata nei modi più variegati o che avanza dei soldi e spesso se la prende con l'imprenditore bischero. Ripeto: mal voluto unnè mai troppo. Io suggerisco prontamente all'imprenditore bischero di mandarlo affanculo. Lui annuisce triste e mi dice che sono una brava ragazza, mi offre un caffè perché ha voglia di sfogarsi un altro po'. Quando ci salutiamo ha le lacrime agli occhi. A me invece scappa da ridere perché ci sono in giro personaggi così. E rimangono sempre a galla.

/- * -/ 

Aggiornamento. Su questa vicenda ho scritto un romanzo tragicomico (più comico che tragico, dai). Si intitola L'Alba dei Farabutti e si trova qui:

La paranoia del grande freddo


Sono giorni che aspetto la neve. Seguo con passione i tweet del sindaco e sono sempre "sul pezzo". Ormai sono perfettamente organizzata per quel momento. Per questo giro per la città carica come un ciuco, indossando tre tipi di sciarpe diverse, contemporaneamente. Per aggravare la situazione ho avuto la bella idea di dedicare questi primi mesi del 2012 alla mia formazione; il "self-improvement" che ci fa tanto bene e ci aiuta a combattere la depressione causata dalla vita contemporanea: costa come la psicoterapia ma ti arricchisce di competenze che prima non avevi. E in più ne guadagni in socialità. Molto "americano" come ragionamento, mi dicono. «Da zitella pragmatica,» rispondo.
Allora ho iniziato a seguire due corsi che necessitano di un bel po' di attrezzature, che sono diventate il mio bagaglio quotidiano. A dire il vero il secondo corso non era in programma, ma mi è stato regalato inaspettatamente e io non mi sono certo fatta sfuggire l'occasione. Oltre a tutto ciò mi porto appresso la borsa per fare sport che già di per sé è un bell'ingombro. Poi ho piazzato ricambi di biancheria e una vecchia tuta da ginnastica nel vano dello scooter, in caso la tormenta pluriannunciata mi impedisse di ritornare a casa per la notte come è accaduto l'anno scorso. E come se non bastasse ho nella  borsa un tot di cose per passare il tempo in luoghi diversi da casa mia: lettore ebook, lettore mp3, quaderno di appunti, e un pacco di fotocopie che devo leggere per la settimana prossima. Quasi quasi auspico che venga giù una bella nevicata di quelle che bloccano tutto e in quel momento preciso, di trovarmi a casa di mia cugina, ovvero l'unica persona che conosco bene in città ad avere un caminetto funzionante e una casa molto tranquilla, ideale per rimanerci un paio di giorni bloccata a bere vin brulé e leggere libri davanti al fuoco. Perché sono memore di quando nel dicembre 2010 la città perse la testa per quei venti centimetri di neve, io non ero organizzata e riuscì a rientrare a casa solo dopo 48 ore e con molte difficoltà. Per fortuna quest'anno ci sono i tweet del Renzi che mi tranquillizzano e mi gasano abbestia.

Il mondo deve sapere e io mi devo render conto meglio...


Qualche sera fa ho letto il libro di Michela Murgia Il mondo deve sapere. L'ha pubblicato diversi anni fa, ne avevo sentito parlare, ma all'epoca non aveva suscitato la mia attenzione. Adesso - complice una sacchettata di libri che mi è stata prestata da un'anima buona per affrontare le feste imminenti - ho avuto occasione di leggerlo. È una storia autobiografica ambientata sul lavoro, come riporta Wikipedia:
La protagonista del racconto viene assunta da un call center come telefonista; il suo compito è quello di vendere, attraverso tecniche di vendita invasive, un aspirapolvere, il Kirby. Le stravaganti tecniche motivazionali, il mobbing nei confronti dei dipendenti, le assurdità raccontate alle casalinghe al telefono e le reazioni delle stesse, le figure dei colleghi e dei capi vengono annotate e classificate, utilizzando un linguaggio colloquiale e uno stile ironico.
Si legge in un paio d'ore e secondo me ne vale la pena. In origine penso che fosse un blog, la struttura è quella e ogni tanto ci sono dei riferimenti ai post. Son rimasta solo un po' delusa dalla trama, perché mi auspicavo una nemesi finale che invece non avviene. Poi riflettendoci, credo che la protagonista abbia avuto la sua nemesi nella vita reale, proprio grazie alla pubblicazione del libro e allora va bene così.
Per il resto è il racconto di un mese di lavoro nel call center della Kirby, tra trucchi, manipolazioni, mobbing di un ambiente del genere, dove tutti, ma proprio tutti (titolare compreso), vengono plagiati con tecniche collaudate, in un perenne tentativo di lavaggio del cervello che nella maggior parte dei casi funziona alla grande.
Tempo fa ho raccontato di quando, per lavoro, ho partecipato alla composizione del testo di una telefonata-tipo "da call center" che poi i centralinisti avrebbero dovuto recitare ai potenziali clienti. Maremma, tutto uguale al libro, che tra varie cose, mi ha permesso finalmente di darmi una spiegazione plausibile sul perché anche nell'azienda dove lavoro ci sia uno psicologo fisso solo per fare i colloqui ai commerciali. Io cado dal pero e mi spiaccico a terra, perché si vede che sono bella matura. Ingenuamente, infatti, pensavo che l'azienda fosse in forte espansione e cercasse personale, invece la Michela Murgia mi ha aperto gli occhi sulla verità: abbiamo un turn over di venditori spaventoso e a quanto pare da manuale. Io per lavoro mi occupo di tutt'altre cose, queste dinamiche mi sfiorano solo di striscio, soltanto quando c'è da dare qualche parere tecnico, però mi mettono tanta tristezza addosso. L'unica telefonista che abbiamo in azienda è spiccicata al modello-ameba descritto nel libro della Murgia. Santo cielo, è impossibile farci un discorso. Qualsiasi discorso; fa impressione un tale concentrato di stolidità in un'unica persona. Pensavo che noi tecnici-nerd si fosse i disadattati di ogni situazione, ma non è così. C'è di peggio, di molto peggio. Perché è vero: al peggio non c'è mai fine. Il resto del call center, infatti, è in Tunisia e i ragazzi che ci lavorano hanno ordine di dire di essere mezzi francesi, se qualcuno chiede loro come mai abbiano l'accento "straniero". Io sono disgustata e sto mandando curriculum in giro, ma com'è noto non è il momento giusto, la crisi, il default, il fatto che ho quarant'anni, yawn. Lo sbadiglio è dovuto alla consapevolezza che non è mai stato il momento giusto per trovar/cambiar lavoro; son vent'anni e oltre che si passa da una crisi all'altra, da un "momento sbagliato" all'altro, da un'emergenza planetaria a una tragedia economica scampata per un pelo come adesso, senza soluzione di continuità. Forse è l'ora che mi svegli un altro po'. E non solo io.

Harry Potter vs Stephen King

La foto non c'entra un cavolo col post, mi piaceva e ce l'ho messa!

Mi hanno scritto un paio di persone chiedendomi di trasferire direttamente qui tutto il blog che è su Splinder, invece di fare tanti passaggi disorientanti. Beh, mi dispiace, lo so che sarebbe la soluzione più semplice e anche logica, ma io non lo so fare. Mi manca la conoscenza tecnica e, purtroppo, non ho nemmeno le energie per imparare (oppure per capire se si possa fare). Ho tante cose più importanti da fare in questi giorni; per esempio leggere: Harry Potter, un libro qualunque tre quelli di Fabio Volo e di Faletti. Mi sono data questo compito culturale prioritario animata dalla volontà di aggiornarmi. Non sto scherzando e lo scrivo senza spocchia, sia chiaro. Non ho mai letto nulla dei tre, mi sento esclusa dalle conversazioni e poi son curiosa come una scimmia. Quindi ho cominciato con Harry Potter libro numero uno, aspettandomi una lettura quantomeno rilassante. Tuttavia alla seconda pagina mi sono scoraggiata di brutto perché mi sono resa conto di essere "proprio tanto" fuori età per Harry Potter, a occhio e croce di almeno di una venticinquina d'anni. Un abisso temporale incolmabile, tanto vale mettersi l'animo in pace una volta per tutte. Allora ho deciso di lasciar perdere HP e, prima di attaccare gli altri due, di prendere l'ultimo di Stephen King che è senza dubbio una lettura/divertimento più adatta a una vecchia babbiona delle mia età.

Attività oniriche interessanti in tempo di crisi globale: nuove opportunità professionali

Stanotte ho sognato che di lavoro facevo la stampatrice di denaro personalizzato. Ma tutta roba legale, eh! Avevo un mio studio, proprio come quelli dei tatuatori, solo che ci fabbricavo i soldi. I clienti facevano le loro richieste e io gli stampavo i soldi a loro gusto: con le immagini dei gatti di casa, con i personaggi dei cartoni animati, con i ritratti di parenti e fidanzati, oppure creavo simpatici fotomontaggi con personaggi famosi, ecc. Ed ero anche piuttosto brava a disegnare: le banconote venivano fuori davvero belle.
Ecco, in caso di default italiano e uscita dall'Euro, mi propongo fin d'ora al Ministero del Tesoro e alla Banca d'Italia, come designer di banconote: c'ho tante idee in testa...

La teoria della classe disagiata - recensione + flusso di coscienza

  Ho finito di leggere La teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura, edizione Minimum Fax. Una lettura che mi ha messo addo...